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Sortie du DVD de Notre Monde

Notre Monde Notre Monde (2013, 119') un film de Thomas Lacoste
Rassemblant plus de 35 intervenants, philosophes, sociologues, économistes, magistrats, médecins, universitaires et écrivains, Notre Monde propose un espace d’expression pour travailler, comme nous y enjoint Jean–Luc Nancy à « une pensée commune ». Plus encore qu’un libre espace de parole, Notre Monde s’appuie sur un ensemble foisonnant de propositions concrètes pour agir comme un rappel essentiel, individuel et collectif : « faites de la politique » et de préférence autrement.
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© Passant n°49
Paola Balzarro
La visita

Il vecchio uscì dal bagno asciugandosi le mani. Prese la scatola del borotalco e verso un po' di polvere nel palmo. Mentre la distribuiva sul dorso delle mani e tra le dita, si fermò a guardare le rughette bianche della sua pelle, dove il talco si fermava, a disegnarle profondamente.
Contrariamente a quanto era sua abitudine, non ripiegò con cura l'asciugamano, ma lo gettò distrattamente in un angolo della stanza. Si sedette sul letto.
Era sabato, la prima notte di luglio particolarmente calda ed appiccicosa, che arrivava dopo un giugno altrettanto torrido ed opprimente. Era più di un mese ormai che il tempo durava in questo modo: giornate grigie ed afose, col sole perennemente velato e l'aria caldissima ed umida, senza che mai una sola volta fosse arrivato un temporale a lavare il cielo.
Pensosamente, cominciò a tagliarsi le unghie. La finestra sul giardino era spalancata, ma l'aria era inesorabilmente ferma e pesante. Per sua disgrazia non era mai riuscito a sopportare gli impianti di condizionamento, che gli procuravano dolorose fitte reumatiche in tutto il corpo.
La luce accesa aveva attirato una falena e numerose zanzare, che si erano subito disperse per la camera. Solo la farfalla restava immobile, posata sul lume. Schiacciarla, così grossa com'era, gli avrebbe fatto impressione. Inoltre sapeva bene che era perfettamente innocua. Arrotolò un giornale e cominciò a dare la caccia alle zanzare. Ne ammazzò un paio, poi smise, perché aveva gli occhiali appannati dal sudore.
Faceva sempre più caldo.

Anche l'alito del suo respiro, che usciva dalle narici e dalla bocca, gli sembrava quasi bruciante, come se avesse ingoiato del fuoco. Cercava di seguire il percorso dell'aria che inspirava, giù per i bronchi e poi nei polmoni, in centinaia di sottili tubicini che si ramificavano in due larghe radici, e non riusciva a credere che quell'aria tanto stagnante purificasse davvero il suo sangue.
All'improvviso gli tornò in mente con nitidezza la sensazione di angoscia che lo afferrava da bambino quando, con gli occhi chiusi, si sforzava di trattenere il respiro il più a lungo possibile, teso nella speranza di riuscire a sentire o a comprendere il momento che stava al confine. Ci aveva messo molto tempo, ma alla fine si era convinto che non ce l'avrebbe fatta.
"Idiota!" - borbottò fra sé - "la morte non la si assaggia a metà, c'è, o non c'è".
In quel momento, per la prima volta nella sua vita, si trovò a formulare coscientemente il desiderio di saltar giù dalla finestra. Ma fu l'abbandono di un attimo, dal quale si riscosse prontamente; non fece neanche in tempo a considerare seriamente l'enorme gravità di quel pensiero, che subito la cosa gli sembrò essenzialmente ridicola. Pensò alle facce di coloro che l'avrebbero trovato in veste da notte, sfracellato nel giardino.
"Ecco un'idea veramente divertente", disse a mezza voce e si mise a ridere, con una piccola risata secca e un po' cattiva. "Un bello scherzo sarebbe", ripeté un paio di volte, accarezzandosi il mento. Si avvicinò alla finestra, ma non per buttarsi di sotto, solo con la speranza di sentirsi un po' meno soffocare.
Ad un tratto sobbalzò.

Con la coda dell'occhio aveva visto una figura che si muoveva fuori, tra i cespugli. Si sporse per guardare meglio, ma il giardino sembrava perfettamente fermo e tranquillo. Tutto si era svolto in qualche frazione di secondo, eppure aveva la certezza di non essersi sbagliato.
Non sapeva assolutamente spiegarsi in che modo, ma era addirittura riuscito a distinguere i contorni dell'ombra che si nascondeva tra le piante : si trattava di un uomo di corporatura piuttosto robusta, con in testa un altissimo cappello di forma conica. In ogni caso costui era già scomparso nel fogliame, che era tornato perfettamente immobile. Doveva senz'altro trovarsi ancora 1ì, tra quei cespugli. Non poteva essere andato lontano.
Il vecchio si protese ancora di più dalla finestra: sentiva la presenza estremamente vicina di quell'uomo, e non riusciva a vederlo. Passarono alcuni minuti carichi di attesa e di tensione. Poi, di nuovo, qualcosa si mosse tra le piante, e per la seconda volta, nitidamente, vide quella strana figura che correva alcuni metri allo scoperto, per poi tuffarsi tra le foglie e scomparire di nuovo. Il vecchio si appoggiò contro il muro. Gli tremavano le mani, era completamente bagnato dal sudore. Per quanto strano questo possa sembrare, non gli passò lontanamente per la testa l'idea di chiamare aiuto. Respirò profondamente, si sforzò di non abbandonarsi all'ansia, di restare con i piedi per terra. Si passò le mani sulla faccia. "Chiunque sia, quell'uomo non mi sta minacciando", mormorò, e gli sembrò che chiudendo la finestra sarebbe riuscito a tenere lontano il pericolo.
Si guardò intorno per la stanza. Vedere i mobili e gli oggetti tanto familiari lo riportò in una dimensione più concreta. Accarezzò la spalliera della poltrona, cercò con lo sguardo lo scrittoio ingombro di carte, che gli ricordarono decine di problemi e questioni reali, spesso difficili, ma che in ogni caso era in grado di dominare.
Sul comodino accanto al letto c'era la tazza dove, qualche ora prima, aveva bevuto il suo solito caffè lungo serale, che lo aiutava a digerire. Tutto era regolare, tranquillo.
"Non ho nessun motivo di preoccuparmi", ripeté ad alta voce, per rompere il silenzio "chi sia quell'uomo e cosa stia facendo nel giardino, non mi riguarda".
Eppure, nel momento stesso in cui lo diceva, si rendeva conto che non era possibile: l'uomo con il cappello conico era lì per lui. Sentiva, in modo confuso, che non era certo quello il loro primo incontro.

Cominciò a camminare per la stanza. Non era agitato come qualche minuto prima, eppure capiva che ormai non avrebbe più potuto sedersi, come niente fosse, ad aspettare il giorno. In un angolo della stanza, incastrato nel muro, stava un piccolo frigorifero. Con un leggero sorriso sulle labbra, prese due bicchieri. "Se qualcuno vuole venire a trovare me, deve essere ricevuto degnamente", mormorò, e cominciò a spremere un limone. Versò il succo nei bicchieri, poi aggiunse molto ghiaccio e tre dita di vodka. Mescolò con un lungo cucchiaio d' argento. Si sentiva quasi felice. Guardò l'orologio: l'una e tre quarti. Decise di restare fermo a sedere; aspettava che succedesse qualcosa.
Passarono vari minuti. Il vecchio ingoiava saliva, massaggiandosi gli occhi ed il naso. A un tratto sentì un rumore da dentro l'armadio. Trattenne il respiro : un altro scricchiolio. Poi niente.
Lentamente, si alzò in piedi e si avvicinò. Il cuore gli batteva forte, più dalla gioia che dalla paura. Tremando, girò la chiave e spalancò le ante dell'armadio: era vuoto; c'erano solo i suoi vestiti, che pendevano giù bianchi come tanti fantasmi.
La delusione lo prese alla gola; eppure avrebbe dovuto pensarci, che i mobili antichi la notte fanno strani rumori, un po' per i tarli, un po' perché il legno, con l'abbassarsi della temperatura, si restringe e cigola.
Tornò a sedere; non era ancora venuto il momento, si trattava solo di aspettare un po' più a lungo. Non sapendo come dare sfogo alla propria impazienza, cominciò ad incidere i bordi del tavolo con il tagliacarte.
Ricominciò l'attesa. Ogni tanto dava un'occhiata all'orologio: nonostante il grande caldo, aveva la punta delle dita gelate. Doveva dominarsi, per riuscire a stare fermo, seduto, mentre avrebbe voluto muoversi, fare qualcosa, correre nel giardino. Si teneva una mano sullo stomaco, che gli sembrava strizzato da crampi continui, e con l'altra si asciugava il sudore della faccia, picchiettandola con un fazzoletto di lino.
Cercava di tenere le orecchie ben attente, e gli occhi spalancati, pronti a cogliere il minimo movimento. Di minuto in minuto, gli sembrava che la tensione stesse per raggiungere il limite massimo, oltre il quale non sarebbe riuscito a sopportarla. Ad un certo punto, tutto si confuse davanti ai suoi occhi, e non vide più nulla. Si era addormentato.
Si svegliò che era già giorno da un pezzo; un giorno grigio, afoso e torbido come tutti gli altri, da più di un mese.

Dolorosamente, si guardò intorno. Non era cambiato niente dalla sera prima. Non era successo nulla. "Non avresti mai dovuto mostrarTi, se non avevi intenzione di venire", mormorò, "dovevi lasciarmi in pace, con la mia noia. Adesso non puoi abbandonarmi: ho bisogno di Te". L'improvvisa coscienza della propria solitudine gli franò addosso, seppellendolo.
Quando, alle 8 del mattino, vennero per svegliarlo, lo trovarono che singhiozzava, con la testa nascosta tra le braccia.
Ci fu un momento di profonda, dolorosa costernazione. Alle numerose preoccupate domande, oppose un totale silenzio. L'agitazione crebbe, ma si riuscì a fare in modo di mantenere una certa freddezza e lucidità. Dovettero vestirlo in tre. Non oppose nessuna resistenza, ma non collaborò in alcun modo, abbandonato come un grosso pupazzo bianco.
Per metterlo in piedi ci volle qualche sforzo, ma poi, fra il sollievo generale, cominciò a camminare da solo, anche se lo sguardo rimase fisso e spento.
Raggiunse a piccoli passi il balcone, e da lì si affacciò sulla grande piazza, pronunciando correttamente le parole della Benedizione,come ogni domenica, mentre dal basso la folla si sbracciava, applaudiva e gridava, gridava sempre più forte.

Paola Balzarro

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